Perché la vita stessa è un incrocio. Un incrocio di intenzioni e passione di chi ha deciso di donarcela, di strade da percorrere in qualunque direzione portino, di sguardi che custodiscono segreti per cui non sono necessarie parole. Incroci concettuali ed artistici, idee e musiche che si mescolano per dare vita a nuove vibrazioni a nuove correnti di pensiero, e nuovi schemi, e nuovi linguaggi.

E poi c’è la parola ‘Crossroad’ nella tradizione blues: tutta un’altra questione, tutta un’altra profondità. Una parola che accompagna la musica del Diavolo sin dall’inizio, da quando era canto di pochi, ambasciatrice di speranze e dolore, comunione e soprusi. In catapecchie buttate in mezzo a sconfinati campi coltivati di quell’America che ancora non era promessa ma condanna, fra milioni di incroci di strade sterrate, testimoni di vite dimenticate e leggende della musica. Quell’incrocio, diabolicamente legato al nome di Robert Johnson, che poi ritroviamo sul disco di quel chitarrista inglese che per tanti è Dio in persona, fino al festival blues/rock statunitense per antonomasia, la parola ‘Crossroad’ associata alle chitarre continua ad essere magia pura.

Tokai Crossroad